Cosa si intende quando si parla di Baby Talk o “motherese”? Significa parlare al bambino in modo infantile? Fino a quando è corretto usarlo? Facciamo chiarezza
Che tu sappia oppure no di cosa sto parlando, se sei una mamma molto probabilmente anche tu avrai parlato il “motherese” o baby talk!
Quando hai iniziato ad interagire con il tuo piccolino, a parlargli, lo hai fatto utilizzando paroline, versi, toni di voce, frasette, che non ti sogneresti mai di rivolgere ad un adulto.
Con questi termini, utilizzati proprio in ambito scientifico, si indica la modalità di comunicazione che la mamma assume con il suo bambino fin dai primissimi momenti di vita.
E’ un modo di parlare che viene adottato istintivamente dai genitori, fatto di aspetti verbali e non verbali caratteristici e, sembrerebbe, universali.
Caratteristiche del Baby Talk
Il baby talk è considerato una vera e propria lingua, cioè un sistema di comunicazione dotato di specifiche caratteristiche verbali e non verbali.
Adottare il baby talk è per lo più un istinto del genitore
ma ci sono degli aspetti ben precisi che lo contraddistinguono:
- poche e semplici parole: utilizziamo un vocabolario ristretto, composto per lo più di termini infantili (bua, pappa, ninna, tottò,…)
- ripetizione e uso delle paroline, così come vengono dette dal bambino
- uso di onomatopee e tanti diminutivi
- ridondanza di parole: si tende a ripetere spesso parole complete o parti di piccole frasi.
- frasi brevi e semplici
- lunghe pause tra una frase e l’altra
- ritmo lento
- intonazione della voce alta e molto esagerata
- tendenza a prolungare il suono delle vocali
- parole cantilenate con un andamento più musicale del parlato
E’ davvero funzionale allo sviluppo del linguaggio?
Le ricerche evidenziano un effetto sicuramente importante del baby talk a livello emotivo: sembra fondamentale per un effetto calmante e benefico.
Ma quando la mamma semplifica istintivamente il suo linguaggio, sapendo di parlare con un bambino ancora immaturo e non competente sul piano verbale, sta ponendo anche
la prima, fondamentale, base di interazione comunicativa adulto-bambino.
Nei primissimi mesi la comunicazione del bambino non è ancora intenzionale: i suoi “segnali” comunicativi sono prodotti in maniera accidentale o come espressione di una sensazione interiore.
La mamma raccoglie quei segnali e gli attribuisce un significato comunicativo: guarda il bambino, ripete i suoni che ha prodotto, gli “risponde”, fa una pausa ed aspetta che il bambino si inserisca con un nuovo vocalizzo, costruendo la prima forma di dialogo.
Inoltre, la modalità verbale, mimica e gestuale che si attiva nel baby talk, è funzionale ad attirare e mantenere l’attenzione del bambino: rinforza l’attenzione congiunta, il contatto di sguardo e l’alternanza del turno.
In questo modo il bambino inizia già ad acquisire i primissimi prerequisiti del linguaggio verbale che si andranno sviluppando sempre più.
Se vuoi acquisire maggiore consapevolezza su come supportare lo sviluppo della comunicazione e del linguaggio del tuo piccolino, ti lascio il link al mio ebook Imparo a Parlare con mamma e papà.
Fino a quando utilizzarlo
Quando i bambini entrano nella fase della lallazione (ma-ma-ma-ma, ta-ta-ta,…) questo stile comunicativo li aiuta ancora ad attribuire significati alle prime rudimentali “forme di parole”.
Ma-ma-ma-ma viene interpretato come “mamma”, e perciò rinforzato con un valore importante, che spinge il bambino a sperimentare ancora, questa e le altre primissime imitazioni di parole.
Dopo il primo anno però, man mano che il bambino cresce e inizia a pronunciare le prime paroline, alcune modalità tipiche del baby talk devono iniziare ad estinguersi:
il bambino ha ora bisogno di modelli linguistici semplici ma corretti.
Manteniamo una comunicazione verbale fatta di tante:
- parole semplici MA NON “storpiate”: la nanna, la pappa, su, giù, dai, butto, metto, cacca, pipì,…;
parole di 1 o 2 sillabe che il bambino può piano piano provare a ripetere con maggiore successo, rispetto alle parole più lunghe e complesse. - frasi semplici di 2-3 parole combinate tra loro (metti le scarpe, andiamo! / dai la palla blu? / mmm, è buona la torta!);
- rimodulazioni della parola corretta SENZA chiederne la ripetizione o sottolineare l’imprecisione: mamma, bimbo coe! –> Si è vero! Il bimbo corrrrrrrre!;
- ripetizioni della stessa parola all’interno di piccole frasi continue (almeno per 5-6 volte), per dar modo al bambino di associarla sempre più facilmente: c’è un gatto! Che bel gatto! E’ un gatto tutto grigio! Ciao Gatto! Vuoi la pappa gatto? Mi sa che il gatto ora va a dormire…
Evitiamo di:
- prendere l’abitudine di utilizzare noi le parole scorrette che pronuncia il bambino, anche se ci fanno simpatia (e diciamolo anche a nonni, parenti e amici!);
- ridere con troppa enfasi o simpatia alla parolina storpiata dal bambino: si rischia di associare una gratificazione positiva ad un comportamento non corretto;
- rimproverare o correggere in maniera brusca il bambino per una parolina detta male (no, non si dice così, ripeti… PAL-LA): il rischio è quello di inibirlo nei successivi tentativi;
- mantenere l’uso di onomatopee e piccoli versi, quando il bambino ha dimostrato ormai di saper produrre, anche se in modo non preciso, la parolina corretta: “chi è questo? il cane! Che verso fa? bau bau.”;
In questi video trovi qualche indicazione più specifica su come parlare ai bambini per supportarli nello sviluppo del linguaggio (se vuoi rimanere aggiornato sui nuovi video iscriviti anche al mio canale YouTube.
– Come parlare ai bambini non ancora verbali
– Come parlare ai bambini che usano solo 1 parolina
– Stimolare le prime paroline dei bambini con la lettura condivisa