Qual è il confine tra una battuta scherzosa e una frase che può minare per anni, forse a vita, l’autostima di un bambino e la percezione che ha di sé?

Mi sono posta questa domanda qualche giorno fa.

In realtà non è stata la prima volta, ma in quel momento ho sentito la necessità di metterla per iscritto e di condividerla perché potesse essere uno spunto di riflessione, se vuoi provocatorio, ma a mio avviso importante.

Ero in spiaggia, a fine giornata, stavo per andarmene. Quando a pochi metri da me un papà ha iniziato a giocare a pallone con suo figlio, che avrà avuto 6-7 anni. Quello che ti scrivo ora è lo scambio di battute che c’è stato tra loro, durante quello che tutti ci immaginiamo come un momento prezioso di condivisione.

1 tiro
Papà: “Oh, io non sarò bono a gioca’ a pallone, ma tu c’hai proprio i piedi storti!”
Bambino: “Non mi accusare!”
2 tiro
Papà: “Mo che andiamo a casa sai che facciamo? Prendiamo il martello e diamo du’ botte a ‘sti piedi così li aggiustiamo”
Bambino: silenzio
3 tiro
Papà: “Oh, famo così: prova a mirare all’ombrellone che sta là, così magari riesci a tira’ dritto”
Bambino: silenzio
4 tiro
Bambino: “Papà sono stato bravo? Ho tirato bene?”
Papà: “Bene è un’altra cosa, ma insomma…”
5 tiro
Papà: “Oh! Ce l’hai fatta!! Lo sai perché? Perché stavi a guarda’ dall’altra parte!”
Bambino: silenzio
6 tiro
Bambino: “Papà, e ora? Ho tirato bene ora?”
Papà: “Me sa che stasera a casa te facciamo mangia’ solo pane e acqua, così magari te smuovi un po’.. anzi, solo acqua che il pane te piace!”

Non c’è stata certo cattiveria in questo dialogo. Il bimbo sorrideva a quelle che, palesemente, erano delle battute che il papà stava facendo (anche se, te lo dico, si percepiva una qualche vena di disappunto per questi tiri così sguaiati).

Quel bimbo sorrideva, come si sorride quando ci si sente in imbarazzo; quando tra amici si viene messi al centro dell’attenzione per una presa in giro; quando ci si sente inadeguati e si cerca di non darlo a vedere.

Eppure i suoi silenzi, le poche parole che ha detto, i suoi sguardi, sarebbero stati sufficienti per accorgersi che forse, quelle battute, per lui non erano divertenti. Che in fondo in fondo, lui, la delusione del papà la percepiva, così come la sua incapacità nel riuscire a giocare.

Dopo il primo tiro, dopo la prima battuta, quel papà ha avuto altre 5 possibilità di mettersi vicino al suo bimbo, dargli un consiglio, aiutarlo a capire come poter migliorare la mira, come muovere il piede.

Di fargli sentire che, bravo o non bravo, capace o non capace, LUI NON ERA QUEL TIRO SGUAIATO.

Ma il papà ha scelto (e sottolineo, inconsapevolmente) diversamente; ha scelto di sfruttare quelle successive 5 occasioni per fare altre 5 battute – a mio avviso troppo sarcastiche (nel come venivano dette) e offensive.

E allora mi chiedo:

E se a volte, inconsapevolmente certo, fossimo proprio noi i primi bulli dei bambini?

Prestiamo sufficiente attenzione alle parole che usiamo con i bambini?

Ci mettiamo sufficientemente nei loro panni?

Siamo abbastanza “grandi”, noi adulti, da cogliere in loro i segnali verbali e non verbali che dovrebbero farci smettere di avere un certo atteggiamento?

Siamo abbastanza “grandi” da capire che l’uso del nostro linguaggio deve essere consapevole?

“Le parole sono, nella mia non modesta opinione, la nostra massima ed inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo.” (Albus Silente)

dal film Harry Potter e i doni della morte – Parte II

6 Commenti

  1. Guarda, lo spunto che dai è intrigante e, da me, assolutamente condiviso. Anche l’esempio è significativo.
    Nel risponderti che non ho una sola risposta e anzi è un dubbio che spesso mi pongo, ti giro il concetto:
    E se invece fosse la nostra educazione troppo accondiscendente e proteggente( non protettiva) a castrare le loro risorse di crescita e rivalsa nei confronti delle avversità?

    • Io credo che, come spesso accade, è sempre difficile definire una verità assoluta e che, per questo, la giusta misura -sana- si possa trovare nel mezzo. Molti bambini sono, in maniera opposta, “vittime” di adulti che si sostituiscono a loro in ogni bisogno, che cercano di tutelarli da ogni forma di avversità. Anche questo è, a mio avviso, un estremo malsano che non aiuta la crescita di persone autonome, capaci di trovare la forza e le risorse dentro se stesse. La giusta misura potrebbe essere proprio nella capacità di comprendere il limite, in un senso e nell’altro, ed avere la flessibilità di riadattare il proprio atteggiamento quando i bambini ne hanno bisogno.

  2. Non é necessario un genio per capire che il papá ha esagerato senza rendersene conto. Non solo non era necessario stare lì a spiegargli a lungo come farlo bene (magari una volta, ecco) ma é l’aspettativa di fondo che per me é sbagliata. Il suo compito era quello di divertirsi e ridere se il tiro era storto, urlare Nooooooo e spassarsela. Invece la ‘necessitá’ di un “bel tiro” ha fatto il danno, mettendo in imbarazzo il bambino che magari l’anno prossimo sará un campioncino, oppure no ma avrá capito che nella vita se non riesci almeno ti sei divertito. Il bullismo dei genitori parte dalla loro aspettativa estetica della performance. Farlo bene è piu importante del resto

  3. Devo dire che mi è capitato a volte di trattare i miei 3 figli in modo sarcastico. Quasi sempre me ne sono accorta e ho chiesto scusa cercando di far capire l’intenzione che c’era dietro e quasi sempre ne è nato un dialogo sereno e costruttivo.
    È assolutamente necessario che un genitore sproni i figli, ma se si è troppo pesanti basta chiedere scusa e non stare zitti…
    Il potere del ricucire le ferite, del rinsaldare l’amore, nel liberare dai complessi si ottiene semplicemente con il chiedere scusa!

  4. il contrario del bullismo non è certo il lassismo o l’essere iperprotettivi, accondiscendenti, sotituirsi ai figli. Tutti questi atteggiamenti, bullismo disprezzo e derisione compresi, sono dallo stesso estremo del continuum, e cioè da quello della mancanza di ascolto, rispetto e fiducia nel bambino.

    L’alternativa è essere veramente compassionevoli, capire come il bambino si sente, è quando TI IMPORTA di cosa pensa, sente e fa. E non del risultato che gratifica di più il tuo ego di genitore.
    Si può dare al bambino riconoscimento oppure critiche, ma in entrambi i casi puoi farlo con gentilezza, comprensione, amore incondizionato; oppure puoi farlo con indifferenza o ostilità.

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