Tra giorni, orari, sport, frequenze, quando si pianifica la terapia di un bambino sembra, spesso, di stare al mercato: ma la presa in carico è cosa ben diversa.

Con la fine dell’estate riprendono gli impegni per grandi e piccini e questo è, a tutti gli effetti, il mese della riorganizzazione. Agende, calendari e planning di ogni sorta invadono il tavolo della cucina, dove si gioca a Tetris con gli impegni familiari della settimana.

Per quelle famiglie in cui i bambini hanno iniziato (o devono iniziare) un percorso riabilitativo, la terapia rappresenta sicuramente un ulteriore carico in termini di tempo e, per chi ha intrapreso un percorso in regime privato, anche economici.

Tuttavia, il momento della pianificazione di giorni e orari della terapia, assomiglia spesso ad un mercato:

“noi possiamo dopo le 19:00, veda lei / no, la mattina assolutamente no, non voglio che perda la scuola / il martedì e giovedì no ché ha nuoto, il mercoledì violino -facciamo lunedì e venerdì?- no, lunedì ha catechismo / due volte a settimana è impensabile, facciamo una? / e se facessimo le due ore insieme?…”

Le contrattazioni vanno avanti per giorni, spostando il focus da “cosa è bene per il bambino” a “capiamo quando è più comodo vedersi”.

Tutto questo rischia di compromettere il senso del percorso riabilitativo stesso.

Chi decide il quando e il come della terapia?

Il bambino.

Quando lo specialista effettua una valutazione, oltre a fornire una diagnosi, mette in luce i punti di forza del bambino e le aree di fragilità da recuperare. Sulla base di queste informazioni definisce i criteri della presa in carico:

  • di che tipo di terapia ha bisogno
  • con quale frequenza
  • con quale durata minima
  • qual è il momento della giornata più adatto per massimizzare l’efficacia del trattamento

Questo significa, ad esempio, che un bambino con un disturbo di attenzione molto probabilmente non può frequentare la terapia alle 6 del pomeriggio (magari dopo otto ore di scuola), anche se quello sarebbe l’orario più comodo per mamma e papà per accompagnarlo.

Se abbiamo un’infezione, il medico ci prescrive esami, antibiogramma e poi ci da l’antibiotico specifico, e ci dice quando e come prenderlo. Non è che poi uno si mette a far questioni.

E’ vero, la riabilitazione è un percorso spesso molto più lungo e bisogna fare i conti con aspetti logistici, come il doversi recare dal professionista, il non avere i nonni disponibili, il dover trovare le risorse finanziare, e così via.

Ma è una terapia, prescritta per una ragione medica, ed efficace se la si porta avanti nel rispetto dei criteri che prevede.

Questo concetto deve essere chiaro, perché altrimenti si rischia di considerarla come una tra le tante attività pomeridiane, che in qualche modo si deve incastrare nella settimana.

Troppa flessibilità non è sinonimo di efficienza

Sicuramente nel pianificare una terapia è giusto che il professionista cerchi di andare incontro alle necessità della famiglia, il più possibile. E il più possibile è fin quando questa flessibilità non intacca l’efficacia della terapia stessa.

Un intervento riabilitativo è tale perché rispetta determinati criteri che gli conferiscono una validità scientifica: più si cerca flessibilità rispetto alle indicazioni che emergono dalla valutazione, più l’efficacia del trattamento si andrà a ridurre.

Ma poco è sempre meglio di niente

Purtroppo non è sempre vero.

Se vuoi perdere 10 kg e ti alleni 1 giorno a settimana, non è che ci metti tre anni: non li perdi proprio. Ti va benone se ne perdi un paio.

Se un bambino presenta un disturbo che necessita di un intervento riabilitativo, quell’intervento è efficace se fatto secondo le indicazioni date; ridurre ad esempio la frequenza, o il periodo di trattamento, non significa avere il 50% dei benefici, piuttosto rischiare di rendere pressoché inutile l’impegno di tempo e soldi che la famiglia investe.

Definire le priorità

Al momento di riprendere le varie attività, un genitore deve aver ben chiaro quali siano le priorità del bambino.

Se sappiamo di dover iniziare un percorso terapeutico, definiamo PRIMA il gli appuntamenti con lo specialista

e, successivamente, segniamo il bambino alle varie attività pomeridiane: in questo modo eviteremo di fargli false promesse e lo aiuteremo a vivere la terapia come un momento di supporto, un momento per lui, non come l’ostacolo che non gli permette di fare ciò che vorrebbe.

Definire le priorità ci permette anche di gestire meglio gli aspetti economici, perché purtroppo non sempre possiamo permetterci di fare tutto.

Liberi di affidarsi o di continuare a cercare

Ogni famiglia ha necessità specifiche, ma ogni bambino ha il diritto di essere seguito al meglio avendo ben chiaro quale sia il percorso più efficace da intraprendere, onde evitare di perdere tempo.

Quando, per poter avviare la terapia, si deve scendere a troppi compromessi tra ciò che è bene e ciò che si può, deontologicamente ritengo più opportuno consigliare alla famiglia di continuare a cercare la soluzione più adatta alle esigenze del bambino.

Dare il giusto valore al percorso riabilitativo può comportare scelte scomode, ma ci permette di raccogliere i frutti del grande impegno di tempo, energia, e spesso soldi, che c’è dietro alla frase “porto mio figlio a terapia”.

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