4 false credenze sullo sviluppo del linguaggio, che rischiano di fare danni ai nostri bimbi e alla loro autostima!
Per la serie #SAPEVATELO sfatiamo alcuni falsi miti, purtroppo ancora troppo diffusi (perfino tra chi, per professione, dovrebbe essere meglio informato!).
Ti consiglio di leggerli tutti con molta attenzione, perchè quelle che seguono sono 4 frasi che potresti aver detto, pensato o esserti sentito “consigliare” a proposito delle difficoltà di linguaggio del tuo bimbo.
1. Parla poco (o parla male) PERCHE’ E’ PIGRO!
Un evergreen che resiste a tutto: il bambino pigro non passa mai di moda. Come se il concetto di pigrizia, poi, potesse appartenere ad un bambino…
Sfatiamo questo primo falso mito:
Il bambino pigro non esiste!
Per i bambini, proprio come per noi adulti, la gratificazione e l’apprezzamento sono importantissimi, soprattutto nel contesto familiare! Favoriscono l’autostima e la percezione di essere in gamba e “accettati”.
Avrai notato che quando un bambino sa fare qualcosa, non perde occasione per dimostrarlo!
Ora pensa: c’è qualcosa che ti riesce bene a lavoro, a casa, nello sport, per la quale sai che verresti lodato o che ti porterebbe maggiore successo, ma non la fai per pigrizia? E magari a costo di beccarti una tirata d’orecchie?
Penso proprio di no.
Però magari c’è qualcosa che sai che potresti fare meglio, per la quale saresti gratificato e apprezzato, ma non la fai perché ti risulta difficile. Magari ci hai anche provato qualche volta, ma hai visto che il gioco non valeva la candela.
Ecco: per un bambino è la stessa cosa! Ed etichettarlo come “pigro” è dannosissimo: da un lato gli procuriamo una graduale perdita di fiducia in se stesso, dall’altra rischiamo di trascurare quella che potrebbe essere una vera difficoltà.
“Quando vuole una cosa, vedi come si fa capire a modo suo! Fa tutto a gesti, ma per parlare è proprio pigro!”
Mamma, papà, non sono pigro. Solo che per me parlare è difficile! Non riesco a capire come si fa, non riesco ad apprenderlo in automatico come avete fatto voi da piccoli.. mi esprimo con i gesti perché è più facile, perché così almeno riesco a comunicare con voi! Mi piacerebbe molto vedervi contenti per i miei progressi con le paroline, mi dispiace, non lo faccio apposta… è che proprio non ci riesco.
“Non si capisce niente quando parla, ma se poi gli faccio ripetere la parola la dice bene: dottore’, dia retta: è pigro!”
Mamma, papà: parlare e ripetere non sono per niente la stessa cosa! Quando mi chiedete di ripetere una parola, io devo concentrarmi solo su quella: massimo 4 o 5 sillabe, poche letterine, e poi l’ho appena sentita. Quando parliamo, invece, io sono concentrato su quello che voglio dirvi, non sul come lo dico. E poi devo mettere insieme tante parole attaccate tra loro, non è come dirne una sola… devo costruire una frase, organizzare un discorso logico… Non riesco a concentrarmi anche sulle letterine, non sono pigro: è che per me è troppo difficile.
2. Si ma anche il papà ha parlato tardi… vedrai che PARLERA’!
La combo.
Qui prendiamo due piccioni con una fava e facciamo chiarezza su entrambe le cose.
Il fatto che anche il papà, o il nonno, o la zia, o il cuginetto, abbiano parlato tardi, facendo magari a loro volta preoccupare i propri genitori, non è altro che un importante fattore di rischio: i disturbi di linguaggio e di apprendimento hanno una base genetica ereditaria, e ciò vuol dire che c’è una maggiore probabilità che il nostro bambino stia manifestando una difficoltà specifica.
“Parlerà” è la pietra miliare della scuola dell’ovvio.
Certo che parlerà. A patto che siano state escluse patologie sensoriali (come una sordità), neurologiche o disturbi di sviluppo più complessi (e DEVONO essere stati esclusi) un bambino parlerà.
Ma il come lo farà sarà tutto un altro paio di maniche.
Dei bambini che a 30-36 mesi presentano un ritardo di linguaggio, i così detti late talkers, ci sarà una parte che recupererà spontaneamente, ed una parte nei quali, invece, questo ritardo evolverà in vero e proprio disturbo di linguaggio, con ripercussioni importanti sulla capacità di costruire le parole, le frasi, i racconti, e nell’apprendimento della letto-scrittura alla scuola primaria.
L’intervento precoce, quando ci si accorge che un bambino già a 24-30 mesi ha un ritardo di linguaggio, diventa uno strumento importantissimo di monitoraggio, sostegno e prevenzione di disagi peggiori!
3. Non parla bene perchè E’ UN PO’ DISLESSICO!
Ogni volta che qualcuno dice una frase del genere, da qualche parte nel mondo ad un logopedista sanguinano le orecchie.
La Dislessia è un disturbo specifico della LETTURA
che ne inficia correttezza e velocità (e per questo, spesso, anche comprensione) e che viene diagnosticata alla fine del secondo anno della scuola primaria (cioè la fine della II elementare).
LET – TU – RA.
Un bambino che “parla male” sta manifestando una difficoltà/un disturbo di linguaggio.
Non la dislessia.
Ti prego, ti prego, ti prego: non lo dire più.
Nel 2017 non ci fai una bella figura.
4. Non parla ancora bene, ma vedrai che appena va a scuola si sistema tutto!
Ogni volta ho i brividi.
Immagino una situazione tipo “Ah, e così cammini male per un problema al ginocchio… mmm… beh dai, facciamo che ti butto tra i leoni, secondo me poi vedi come corri!!”
Secondo me ti sbranano. E presto.
Non si dovrebbe aggiungere altro, ma spendiamo ancora qualche parola per ribadire un concetto importante: un disturbo di linguaggio può frequentemente evolvere in un disturbo di apprendimento, che compromette la letto-scrittura e/o l’area del numero e calcolo.
E se un bambino a 4-5 anni ancora “parla male” non lo fa per pigrizia (vedi sopra) ma perché il suo modo di acquisire ed elaborare le informazioni linguistiche non è “funzionale”, e allo stesso modo rischia di non esserlo per gli apprendimenti scolastici successivi.
In questo caso la filosofia del far-di-necessità-virtù rischia (e molto) di peggiorare un problema, perché il nostro bimbo ci sta dicendo: “Hei, guarda che io da solo non ce la faccio perché non capisco come si fa! Ho bisogno di un aiuto”
In questi casi, o quando si sospetta una difficoltà di linguaggio, la buona prassi è richiedere una visita specialistica (presso un Neurospichiatra Infantile, un Neuropsicologo o un Logopedista) per valutare la natura della difficoltà e se sia il caso di intervenire.
Il percorso riabilitativo, qualora raccomandato, permetterà al bambino di migliorare il suo linguaggio, acquisire i prerequisiti necessari all’ingresso alla scuola primaria e, soprattutto, di ridurre il più possibile la probabilità che si manifesti un disturbo di apprendimento negli anni scolastici.
Bene. Questi sono (“erano”, speriamo, per te che stai leggendo) solo 4 dei falsi miti che girano ancora in merito alle difficoltà di linguaggio dei bambini.
#SAPEVATELO.
“Fatti non foste a viver come bruti”
Bello… utile… ma come si può rendere la cosa più facile per il pupo?
Ciao Alessia,
innanzi tutto ti ringrazio per aver apprezzato questo articolo! Riguardo poi la tua domanda, sicuramente la prima cosa da fare quando un bambino presenta i campanelli di allarme di un ritardo o un disturbo di linguaggio è rivolgersi ad uno specialista (Neuropsichiatra, Neuropsicologo o Logopedista) ed effettuare una valutazione. Questa valutazione serve proprio ad identificare se sia presente o meno una difficoltà e di che genere, ed in base a questo poi si decide se aiutare il bambino con una terapia specifica, o solo in maniera indiretta, dando alla famiglia e alla scuola le indicazioni per supportarlo.
Continua anche a seguire il blog, perchè è previsto a breve un nuovo articolo con dei consigli su come “comportarsi” quando un bambino parla poco o male. Intanto, se vuoi, puoi leggere questo articolo molto utile per i bambini con un ritardo di linguaggio, dove spiego delle semplici strategie per incrementare le loro abilità comunicative: https://logopoli.it/leggere-non-solo-per-leggere-dai-12-mesi-in-su/
Bellissimo articolo…con troppa facilità si considerano i bambini dislessici. GRAZIE