Tra lettere ad insegnanti cattivi e petizioni salva-bambini costretti agli arresti domiciliari estivi, cosa pensare degli insopportabili compiti delle vacanze?
Inizio con il sottolineare questo: non siamo tutti DSA, ovvero
non tutti i bambini hanno un disturbo di apprendimento.
E ci tengo a dirlo perché a questi bambini vanno riconosciuti una difficoltà ed una fatica cognitive enormi nello svolgere la maggior parte delle attività didattiche, che rendono necessario snellire e facilitare determinati compiti a scuola e a casa, e per i quali l’argomento compiti delle vacanze merita un discorso a parte.
Ma al di fuori del mondo DSA, penso che si gridi con un po’ troppa superficialità allo “stanno 9 mesi a scuola, in estate devono riposare”, senza domandarci davvero quale valore abbiano i compiti delle vacanze.
Personalmente penso che non abbiano mai ammazzato nessuno.
Nè traumatizzato nessuno.
Nè impedito a nessuno di essere bambino. Di sicuro non più che intimargli di non sudare, di non correre, di non arrampicarsi, di non farsi male, di non toccare questo e non toccare quello.
Che in una giornata, una paginetta o due si trova tempo e modo di farle, se ci si organizza. Come il pranzo e la cena. Con molta naturalezza.
Ma al di là del parere personale, ecco cosa ne penso professionalmente.
Se siamo disposti ad ammettere che di ogni cosa esistano due risvolti della medaglia, ci rendiamo conto che
qualunque estremizzazione penalizza e non aggiunge reale valore.
Da una parte ci troviamo davanti un sistema scolastico impantanato in uno stile di apprendimento ancora troppo nozionistico e mnemonico, dove è vero che il compito diventa spesso una ripetizione di concetti fine a se stessa.
Dall’altra, è poi così sbagliato abituare i bambini a dedicare un momento della giornata ad un’attività cognitiva a tavolino?
Dovremmo ragionare sul fatto che i compiti delle vacanze non sono una punizione data da maestre incompetenti che bivaccano tutto l’anno così che poi il lavoro sporco tocca farlo a casa, ma un momento della giornata in cui ci si dedica ad un’attività mentale, così come andare in bicicletta è un momento in cui ci si dedica ad un’attività fisica.
Andare in bicicletta, un’escursione in montagna, visitare nuovi luoghi, giocare in riva al mare o sporcarsi nel fango, passare più tempo libero con la famiglia, sono indiscutibilmente tutte cose sane per un bambino, ed è indubbio che l’esperienza pratica sia una delle più potenti forme di apprendimento.
Ma, per l’appunto, una delle.
Per crescere in armonia è importante dare il giusto peso alla maturazione fisica, emotiva, psicologica e cognitiva.
E per ognuna di queste, l’apprendimento e la conoscenza passano attraverso modalità e stili differenti, e non tutto si impara all’università della vita: leggere un libro o scrivere una pagina di diario (e permetterci di riflettere anche sulle nostre emozioni) trasmettono competenze diverse dalle esperienze pratiche di gioco e svago, e anch’esse importanti.
La parola chiave è come sempre INTEGRAZIONE.
Allora forse potrebbe avere un senso selezionare, tra i compiti, quelli che danno maggiormente spazio al ragionamento, come i problemi di matematica e geometria o lo scrivere un testo, o quelli che permettono un apprendimento indiretto importantissimo, come la lettura di libri e racconti.
Sarebbe utilissimo prevedere dei compiti-gioco, magari sfruttando anche App, siti web e giornalini per bambini, che tengano comunque allenate competenze cognitive quali attenzione, memoria, e problem solving (logica).
Un’altra strategia fondamentale è quella di definire nella giornata un tempo limitato per i compiti (magari un’ora) o una quantità limitata (1 o 2 pagine) in modo tale che anche il bambino abbia visivamente chiaro che “fare i compiti” non è un qualcosa che inizia vattelapesca quando e finirà vattelapesca quando.
Ma non vedo alcuna gloria o alcun valore aggiunto nel far tornare a scuola un bambino con una lettera in cui si attesta che non ha fatto i compiti perché è stato impegnato a giocare, ad imparare a vivere, ad essere bambino.
I bambini sono bambini tutto l’anno.
Anche da settembre a maggio.
Sono bambini anche quando, dopo 8 ore di scuola, non hanno la possibilità di riposarsi, annoiarsi, sperimentarsi perché sono occupati in mille e una attività: lunedì e venerdì calcio, martedì inglese, giovedì chitarra, venerdì il laboratorio di teatro, sabato mattina nuoto (per non parlare dei bambini che hanno necessità di seguire una terapia riabilitativa).
Tutto serve. Tutto fa bene. Tutto è importante per qualcosa.
Ma il troppo stroppia e rischia di diventare peggio del poco, e vedi questi bambini arrivare a giugno carichi di saggi e impegni di fine anno, stanchi, irascibili, nervosi e stressati.
E allora la vera intelligenza sarebbe quella di saper selezionare durante tutto l’anno ciò che in quel momento può essere un valore aggiunto per il nostro bambino, senza riempire le sue giornate con tutto il possibile.
E forse, prima di riversare la colpa della stanchezza cronica di queste creature sulla scuola e demonizzare i compiti delle vacanze, sarebbe più giusto riportare la responsabilità del benessere psico-fisico del bambino anche all’interno della famiglia e delle scelte quotidiane che tutto l’anno facciamo con loro, per loro, a volte al posto loro.